Il primo maggio scorso è stata mia commensale una professoressa di materie umanistiche, persona che considero integerrima. Durante la conversazione post-prandiale ho avuto occasione di esprimere le mie perplessità circa la levata di scudi delle sue colleghe contro le prove INVALSI: a mio avviso in quelle dichiarazioni di guerra all’INVALSI c’è un atteggiamento molto auto-indulgente e una visione della scuola antitetica al sistema competitivo che regola (o dovrebbe regolare) il mondo del lavoro.
Vi riporto per sommi capi la sua risposta:
- Nelle prove INVALSI tenute l’anno precedente durante gli esami di terza media, il tempo necessario per la correzione è stato di circa 3 ore e mezza. In pratica la cosa si è risolta in un pomeriggio.
- Rispetto ad una prova d’esame classica, la prova INVALSI prevede una procedura a salvaguardia della correttezza dei risultati che implica alcuni tempi di attesa.
- Da una consultazione tra colleghi del medesimo istituto è emerso che gli esiti delle prove INVALSI sono risultati i più aderenti all’effettivo grado di preparazione degli studenti, a differenza delle altre prove d’esame nelle quali alcuni studenti sono stati aiutati in quanto si era deciso in sede di scrutinio che andassero aiutati.
- La principale criticità riguarda gli studenti stranieri, tuttavia non si tratta di un limite specifico di INVALSI, bensì di un problema generale di come viene (non) trattata l’integrazione di studenti che hanno iniziato il corso di studi in un’altra nazione.
Considerazione del sottoscritto: alla luce di queste informazioni, sembra ancora più capziosa la polemica circa i costi sostenuti per l’instaurazione di un sistema esterno di valutazione e la critica principale nel merito della metodologia di valutazione appare come un’insofferenza verso sistemi che fotografano la situazione reale senza aggiustamenti.